Signora, cortesemente, potrebbe presentarsi ai nostri ignari lettori?
R- Sono in molti?
D- Non sappiamo esattamente, ma è probabile che siano una decina.
R –Una decina di milioni?! Ottimo, sono quasi quanto gli abitanti dell’odierna London!
D- Sorry, so di darle una delusione, ma sono una decina e basta, diciamo quasi quanto gli abitanti del mio pianerottolo.
R – Ah… un po’ pochini in effetti, ma almeno sono buoni?
D – Of course! Sono i migliori lettori del mondo. Ma ora la prego, non mi faccia più domande: lei ha la R, che sta per risposta; io ho la D, che sta per domanda.
Se lei fa le domande mi fa confondere perché le domande le faccio io che ho la D. Allora, riprendiamo. Risponda please a queste semplici domande: come si chiama, quando e dove è nata. Potrà sembrarle un interrogatorio, ma non lo è, le sue risposte ci sono necessarie per imparare a conoscere meglio lei e la sua storia.
R – Well, mi chiamo Mary Wollstonecraft Godwin e sono nata a Londra il 30 agosto del 1797.
D – Bene, ora potrebbe essere così gentile da entrare nei particolari, immagino scabrosi, della sua vita? Insomma Madame, se può, ci racconti qualcosina di più succulento.
R – My father si chiamava William ed era un filosofo, my mother si chiamava come me, Mary Wollstonecraft. È stata una delle prime femministe della storia, una donna in gamba, almeno così dicono, io non l’ho mai conosciuta. Incontrò mio padre, iniziarono una relazione, restò incinta, furono costretti a sposarsi, dopo cinque mesi nacqui io. Povera mamma, morì pochi giorni dopo il parto. Mio padre si consolò presto e si risposò con Mary Jane Clairmont. Per un po’ di tempo ho vissuto con loro, con la mia sorellastra Fanny e con Claire, la figlia della mia matrigna. Tutto sommato stavo bene con questa mia strana famiglia, ciò nonostante sono stata allontanata; daddy diceva che fantasticavo troppo, che mi perdevo nei miei pensieri, che facevo castelli in aria; forse perché leggevo troppo o perché troppi intellettuali e scrittori dell’epoca frequentavano la nostra casa, o semplicemente fu una scusa perché la mia matrigna mi odiava. Mi mancava la mia vera madre. Ho sempre provato un forte senso di colpa per essere stata la causa, seppur involontaria, della sua morte ma, nel contempo, provavo rancore nei suoi confronti: la accusavo d’avermi abbandonata, d’avermi fatta nascere e poi lasciata sola. Povera mamma mia, povera mamma, povera figlia, povera io. Soffrivo molto e sentivo che the death mi stava sempre accanto, un’ombra che non mi lasciava neppure per un momento, lei mangiava con me, dormiva con me. Continua a leggere “LE INTERVISTE IMPOSSIBILI: Mary Shelley”